Le icone di Bruno Ceccobelli conducono i pensieri nel cuore della rappresentazione secondo un processo di ripetuti riverberi, di approcci a una conoscenza percettiva che cresce in rapporto alle emozioni, alle evocazioni. È l’arcano a catturare la sensibilità, a farla riposare sulla soglia dell’opera, al cospetto di una chiave dì introduzione e di un avvio interpretativo da individuarsi nell’immagine di solito frontale: una freccia indicatrice, un’impronta di serratura, un’attrazione focale.
Da qui parte la strada che si intende percorrere e che si può percorrere per quanto ci viene concesso dall’autore e da noi stessi. Infatti Ceccobelli oppone allo sguardo porte, sigilli, enigmi, opzioni fideistico-alchemiche da superarsi o da risolversi attraverso una risposta e magari una successiva domanda da indirizzare all’imperturbabilità del volto, all’entità che sovrintende l’accesso al mistero. La proposta reiterata di una composizione talora a progressione radiale e centrifuga, talaltra volta a concentrare le forze in un momento implosivo, ci fa capire che non siamo al cospetto di situazioni di pura contemplazione estetica, ma che stiamo partecipando a un processo in divenire di tipo complesso: un atto metamorfico accomuna lo spirito e la materia coinvolgendoci o travolgendoci a seconda dei ritmi di abbandono o di coscienza che siamo in grado di assumere. La simbologia palese ha la consistenza insinuante del messaggio subliminale, il ritaglio dei contorni aggiunge un significato da elemento collocabile nello spazio e nel tempo a contaminare e a modificare altri spazi e altri tempi. Mi sovviene a tale proposito una sua esposizione al Caffè Florian di Venezia nel 1988: i muri decorati avevano subito nella circostanza l’impatto di una moltitudine di messaggi “inquinanti” dal risultato sorprendentemente armonico per la qualità del racconto complementare e modificabile. Il contrasto può apparire qualche volta ricercato ed evidente: da un lato ci sentiamo sollecitati da richiami iconografici ricorrenti e stabili, tipici dei comportamenti rituali; dall’altro l’incontro della nostra sensibilità con quella dell’artista-sa-cerdote-sciamano, pronto ad introdurci nei segreti meandri dell’inconscio, promette soluzioni variegate, inattese e non programmabili.
Luciano Caprile
Marzo 1997