Conversazione fra Bruno Ceccobelli e Gillo Dorfles

Caro Gillo,…

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…Secondo la cosmologia indù, la nostra umanità si trova alla fine di un periodo storico detto Kali-yuga che dura da circa cinquemila anni, periodo descritto dalle sacre scritture dei Veda, che corrisponde ad un profondo materialismo. Spesso uso congetturare con questa credenza per spiegarmi: la nostra età dei consumi delle vanità e come dice Paul Virilio, della nostra democrazia. Come artista figurativo mi interessano molto gli aspetti paradigmatici dei movimenti psico-fisici del comune vedere e sentire, del “colore” e delle forme di comportamento delle “masse” Vorrei aggiungere a questo quadro una connotazione anche “sessuale” e cioè, detto molto francamente, noi stiamo vivendo in questa attualità post-moderna, post-umana un “Femminismo Statalizzato” Parlo di quel femminismo ossessivo cattomarxista che si è sviluppato dagli anni ’70. Ora, riscoprire nell’umanità dell’individuo il proprio elemento femmineo non è negativo, anzi è un riscoprire la propria creatività, o sensibilità ricettiva, o la disponibilità umile verso l’altro da sé. Ma il femminismo di oggi è stato ed è tutt’altra cosa, anche perché ha assunto tutti i concetti del razzismo che aveva il maschilismo secolare, con un’aggiunta di una rinnovata perversione industrializzata che ne diventa un’”ideologia di stato” e di scialbi costumi. I risultati sono carrierismo più frenetico e combattivo, diritti familiari, tutto a favore della madre. Apparati statali più formali, leggi più coercitive, matrigne; l’essere viene devitalizzato da vessazioni fiscali, immaginifiche, umorali e disarmoniche, con una falsa figura di se stessi come la vanità dell’apparire in video in realtà virtuali più vere del reale.
Spero di non apparire moralista, anche perché ammiro l’equilibrio, la pacificazione e l’amore con il tutto, ed ho una solida fede Taoista.

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Da una parte vedo solo il narcisismo intellettuale, dall’altra l’imperante globalizzazione del voyeurismo dal gusto americano (che ha un particolare tocco di kitsch genetico).Questa permissiva destabilizzazione del costume liberticida è una grave insufficienza nella educazione dei giovinetti che, attraverso i mass-media, soprattutto la televisione (“vampiressa psichica”), con i suoi films e cartoni votati alla banalità e con i suoi personaggi e robot violenti, compiacenti, con il cinismo porta al disgusto formale, e ad una disarmonia interiore. Tutto questo divide sempre più le persone, la gente ha difficoltà a toccarsi, non esiste più festività, o tempo libero e ciò favorisce sempre più rivalità e violenza, e a livello internazionale le guerre economiche ed armate.

Insomma Gillo invece di considerare, nelle più alte cariche statali: la creatività, l’amore, il sesso come energia reale, come armonia celestiale, e tutto ciò gratuite e sorgive in ognuno di noi e portanti ad una felicità-reale, questo stato di cose “casuale” induce a trasformare i popoli in provetti biscazzieri e giocatori d’azzardo, sperando naturalmente nella truffa. Il concetto di lavoro creativo e di esperienza viene meno e si esalta la furbizia o il delirio del fatalismo. Allora penso proprio che l’oppio dei popoli, non siano le religioni, bensì molto più semplicemente i soldi! Per esempio i disoccupati dovrebbero tutti essere istruiti alla creatività.
Come mi comprenderai gli artisti in una società sana avrebbero un gran da fare e non sarebbero costretti a vendere quadri come pizzette al taglio per i borghesi.

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Lo sa perché io sono profondamente antidemocratico (ed inattuale)? Semplicemente perché in democrazia, cioè nella modernità, c’è nella cultura borghese popolare il concetto di liberalità e generalità del gusto. Le spiego, frasi come: “Ma a qualcuno può piacere anche così!”, riducono questo concetto estetico del gusto, per me divino ad un piacimento semplicemente individuale, pertanto particolarissimo. Questo si verifica nelle scelte quotidiane e purtroppo anche nelle tendenze artistiche, riepilogando una non chiara idea di sacro, dà forza per me, ad una produzione artistica ed industriale eccentrica e suicida.

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Come abbiamo già detto, l’arte dei nostri tempi, come tutta la realtà, è superficiale e si basa esclusivamente sul valore economico uguale al valore di successo estetico, questo è sottosviluppo artistico.
Non ritieni che, a fine secolo, a fine millennio, si possa e si debba riesaminare o riscrivere su basi più qualitative, con un rigoroso coraggio, la storia dell’arte antica e moderna. Accorciando quel distacco che le avanguardie hanno creato, con la loro presunta novità concettuale da principio secolo, e cioè velleità di raffigurare secondo il falso modello modernista-evoluzionista. Mi spiego, non si è riuscito in questo secolo da parte degli storici e della critica di parte, per esempio a paragonare che ne so: Piero della Francesca con Malevich, Picasso con Michelangelo, Constable con Pollock, Kounellis con Caravaggio, ecc. In fondo, erano moderni anche gli antichi, Michelangelo con i prigioni non finiti, inventò l’Informale e così via si potrebbero fare altri esempi.

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Gillo, non pensi che le avanguardie più concettuali e minimaliste del mondo anglosassone, siano state, in questo secolo, più accettate perché più congeniali al potere logico-economico del materialismo capitalistico vigente? Ed invece le correnti spiritualiste simboliche metafisiche, nobili di spirito, ma meno comprese e celebrate perché non supportate economicamente? Che ne dici?

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L’artista dovrebbe essere il veggente per eccellenza simile al profeta fuori dal tempo. Capta il futuro e il passato con la stessa costanza perché in realtà lui è “nell’eterno presente” so di sembrarti idealistico e troppo metafisico. Ricordo il nostro primo incontro circa 10 anni fa – e dialogammo sul gusto dei nostri giorni e mi desti delle risposte illuminanti ed apprezzasti la mia ricerca artistica, al contrario nella mia ultima esposizione milanese allo Studio G., mi sei sembrato un po’ sconcertato dal mio passaggio ad una figurazione forse per te troppo simbolica e troppo espressiva; la frase che mi dicesti era: “Se da una parte mi fa piacere osservare una pittura che si distingue da tanta robaccia che c’è in giro, dall’altra mi preoccupa perché le figure sono cariche di riferimenti ad ideologie troppo evidenti”. lo ti risposi, a giustificarmi della mia posizione inusitata Professore io sono un uomo di altri tempi, vivo in un periodo che è ancora tra il Quattrocento e il Seicento.
Sono un semplice, trovo che l’uomo sia ancora “misura di tutte le cose” e ti accennai al mio interesse all’antroposofia e tu mi guardasti un po’ stupefatto e un po’ incuriosito. Dal nostro ultimo incontro, ho riflettuto molto su come si è trasformato il mio lavoro e posso dirti che, più vivevo l’esperienza internazionale di arte contemporanea degli anni 80, che si manifestava attraverso i revivals o vomito esistenziale tra artisti mutanti e replicanti e più sentivo il desiderio di isolarmi. Infatti nel’92 con la mia famiglia mi sono spostato da Roma a Todi, mia città natale, dando vita ad un grande ripensamento sulla rappresentabilità dell’arte figurativa odierna. L’ambiente mi ha aiutato molto a capire cose che per altri sono forse desuete o falsamente ipocrite, ma che in campagna, in Umbria, in un paesaggio storico artistico ricco di costruzioni centrali e simmetriche riscoprivo con naturalità come importanti per la mia salute mentale e fisica cioè: la simmetria e l’umiltà, la centralità e il corpo dell’uomo, la pietà e il prossimo. Spero, di non sembrarti troppo un esaltato fraticello minore, ma l’arte negli anni ’90 era arrivata veramente all’osso vedi Serrano e la moda necrofila. La mia pittura mi ha insegnato (in quanto io sono e mi sento solo un medium di forze superiori) ad accettare i volti, i busti, mani, piedi, come elementi e canoni di un lemma ancora esistente possibile e futuro. Quindi ho riscoperto la carne delle figure del mondo, con compassione ho tentato di ricostruire (senza veri modelli, ma in omaggio ai grandi … ) armoniose muscolature e nervature sincere e muliebri pelli, avendo rispetto e memoria e devozione della nostra storia dell’arte e dei valori dei nostri padri. Questo mi sembra un lavoro positivo rispetto alla tendenza artistica, di straripan-te melassa, strutturate su una disarticolazione psicofisica del mondo dell’uomo senza più scopo.
I quadri con queste composizioni figurali, nonostante l’evidenza, non prendono la forma per voglia di mimesi, ma per coincidenza d’armonia: un occhio può essere una foglia, o l’impronta di un pennello nella pittura zen; definirei il mio figurare coincidenze fortuite, in questo senso mi sento pittore astratto molto universale.

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Ho sempre pensato che il mio lavoro debba operare nella classicità intendendo come classico il concetto di eclettismo. Penso come riferimento a Villa Adriana e al suo ideatore in qualche modo il pittore classico deve, per oggettività, esprimere un insieme di armonie etniche pur esprimendo una sua particolare Welteschaung.

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Per parlarti della simmetria ti parlerò delle antiche architetture sacre, che nella maggioranza dei casi, sia in occidente che in oriente, sono totalmente simmetriche, queste con evidenza vennero copiate dalla natura e dalle simmetrie dell’uomo. Ricordi le cattedrali gotiche dove l’uomo era con la testa nell’abside e le braccia nel transetto e giù, il corpo nella navata centrale? Ebbene io, con la simmetria e altri rapporti numerici e sezioni auree costruisco lo spazio, l’espressione e lo stare delle
figure, cosicché assumo nelle mie varie fasi tutte quelle ricchezze che dalle tradizioni ad oggi lo “zoograf” (con arte, articolazione, misura) ha potuto scovare nella natura. Simmetria come spec-chio, riflessione, sacralizzazione della nostra natura terrena e celestiale.

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Le grandi opere d’arte sono il prodotto matematico, e una grande scoperta scientifica, ogni vera novità è una soluzione di bellezza e armonia. Questa riflessione si potrebbe prolungare fino ad immaginare uno Stato Sociale di Bellezza, dove al posto della democrazia ci sia la volontà artistica e, al posto del denaro la grazia, con una giustizia estetica, e il lavoro per tutti rigorosamente basato sulla creatività. Si può sperare, è veramente solo utopico?

Con stima, Bruno Ceccobelli

Milano, Giugno 1999

Caro Bruno,

Piuttosto che rispondere alla tua lettera domanda per domanda, ho pensato che fosse meglio un discorso continuato pur sempre in relazione con le tue formulazioni e i tuoi dubbi.
Sono naturalmente d’accordo su molte tue affermazioni: è vero che l’arte dei nostri giorni segue “una moda necrofila”; è vero che “è superficiale e si basa esclusivamente sul valore economico uguale al valore di successo estetico è anche vero che molte “antiche architetture sacre… sono totalmente simmetriche e… vennero copiate dalla natura e dalle simmetrie dell’uomo”. Ma è proprio da quest’ultima affermazione che cominciano i miei dissensi.
Non possiamo dimenticare – per quanto spiacevole possa essere – che la nostra epoca non è quella rinascimentale né quella gotica e tanto meno quella dell’antica Grecia, ma un’epoca tragicamente diversa, della quale dobbiamo anche accettare le magagne e le deviazioni (pur nella speranza in un futuro migliore che però è ancora lontano, come sai).
E allora, ecco che proprio la simmetria diventa una sorta di momento discriminatorio tra l’oggi e lo ieri più di quanto non siano figurazione e astrazioni o altre “costanti” artistiche.
Ecco perché in molte tue opere è proprio l’insistita simmetria a non convincermi, perché fa arre-trare nel tempo anche le opere migliori e più vitali ma in un senso non positivo ma “revivalistico”.Non dimentichiamo, del resto, che giù a partire dal proto-romanico l’asimmetria ha avuto un profondo legame col sacro. Ho citato altre volte quel passo di Giovanni (19/30): “
klinas tén keyalén paré-dòken tò pneùma” che ha indotto tanti architetti romanici a distorcere l’asse basilicale per imitare l’inclinatio capitis del Cristo sulla croce e in questo modo dare vita a un simbolismo efficacissimo. Simbolismo, che anche ai nostri tempi è possibile; come dimostrano alcune delle migliori e più originali architetture e pitture recenti: penso a Klee, a Bacon, a architetti come Gehry, o come l’antroposofo Albers i quali – ribellandosi alla simmetria e al “rettangolismo” dei funzionalisti – hanno rinnovato molti aspetti della progettazione attuale.
Per quanto poi si riferisce alle tue figurazioni per le quali tu affermi di avere avuto “rispetto e memoria e devozione della nostra storia dell’arte e dei valori dei nostri padri” apprezzo, ovviamente, il fatto di volerti distinguere dalla marea di luoghi comuni minimalisti popartistici, informali; ecc.; di voler rifiutare le aberrazioni; solo narcisistiche e psicopatologiche, di tanti recenti bodyartistici (alla Orlan e Serrano), ma credo tuttavia che occorra tener conto di ragioni “profonde” dell’odierna degenerazione, da ricondurre appunto all’epoca che attraversiamo, dove il Kali-yuga (che tu citi) non è ancora esaurito, e dove non basta imitare gli acquarelli misticheggianti “alla Steiner” (cosa che tu per fortuna non fai) – geniali quando furono dipinti ma “datati” oggi per essere sulla retta via.
In definitiva io ritengo che tu possa valerti delle tue indubbie qualità artistiche e della tua positiva “visione del mondo” anti materialistica, per comprendere che la simbologia attuale – al pari della “tecnica” – non può essere quella del passato e che un’arte del presente deve anche tener conto di certi aspetti, magari detestabili ma di cui non possiamo affrancarci solo perché è più piacevole e confortante rivolgersi al passato. E questo vale non solo per la simbologia e l’impianto simmetrico delle opere, ma anche per la tecnica figurativa che tu affermi non essere “mimetica” (il che ovviamente è positivo) ma che dovrebbe secondo me prescindere anche da certi aspetti “naturalistici” che sono in contrasto con quella che è la stessa urgenza immaginativa del nostro “denken”, del nostro modo di ragionare.

Con affetto, Gillo Dorfles

 

Todi, Luglio 1999

Ultima risposta a Gillo

Caro Gillo,

Chiamiamo figurative le forme che conosciamo meglio e astratte quelle a noi meno note, ma tutte fanno parte di un discorso generale sconosciuto.

Con ammirazione, Bruno

(tratto dal catalogo “Ipervista 2001″, Galleria Augusto Consorti, Roma)