Bruno Ceccobelli viaggia, soprattutto, alla periferia della civiltà, e raccoglie bocconi di storia.
Sì, proprio di storia. Non frammenti dilapidi incise, né selezionando materie nobili (ma chi decide la “nobiltà” dell’esistente?). Le sue sono reliquie del presente, le cose minime gli ultimi brandelli del mondo, oggetti che domani si perderanno se non c’è qualcuno che – subito – ha compassione di loro (“cum-patire”): prodotti con una bellezza finta, “creati” per finire prima possibile, destinati alla distruzione, già perduti… prima di averli amati, prima ancora – addirittura – di averli pensati come figure possibili, pre-anime almeno. Carte, cartoni, tessuti, foglie, legni, latte, plastiche: è il campionario dello scarto, la limatura del brutto? No; è solo ciò che si era incollato all’effimero, al perituro, cioè all’inutile e poi rifiutato. Ed ecco Bruno Ceccobelli, l’angelo, il “missus” divino. La differenza con tutti gli altri artisti che affondano le mani nelle discariche del mondo, è enorme, assoluta. Loro cercano la provocazione e l’enfasi per oscure interiezioni di una vite morta.
Per lui sono sempre frammenti scivolati dalla mano di Dio; lui vi soffia sopra con un bacio d’amore, ed essi rivivono. Lui vi stende sopra la sua variopinta coltre umana, il vello d’oro morbidamente ricamato, dolcemente sospeso.
Soprattutto, Ceccobelli, per un progetto che gli è cresciuto nel cuore, a tutto, al grande come al piccolo e lacerato brandello di vita sparso ai margini delle strade, fa ritrovare un senso per “nuovi cieli e nuove terre” (2Pt. 3,13), per nuovi spazi, per rinnovate e pure simbologie, alcune – ed è qui la sigla di Bruno, alta, originale, intrisa di Spirito – di diretta elevazione religiosa. Perché un truciolo, un legno raccattato, un brandello di tessuto, una vecchia serratura arrugginita, non possono riabilitarsi per segnalare all’uomo che non c’è la sorte segnata della discarica, ma una possibile risalita celeste, una capacità di gemito verso l’alto, o un soffio d’amore, un brivido soprannaturale, comunque di vita?
C’è chi continua a definire l’arte di Ceccobelli un residuo di stinta piacevolezza artificiale, un abile saccheggio di umori e sapori di apocalisse.
No, bisognerebbe non avere più né occhi né cuore.
Bruno Ceccobelli è un innamorato, un ostinato, inguaribile cercatore di palpiti di bellezza negli angoli più sperduti del mondo. È un salvatore, un redentore di periferia (quella periferia per cui tutti ci siamo marginalizzati); è un inviato speciale perché niente vada perduto o si rassegni all’inconcludenza; all’oscurità, alla fine.
Ed è quasi naturale sentire, ora, come il più adeguato commento si possa ricavare da un brano biblico (si tratta, davvero, di una lettura autentica, perché Bruno stesso ci testimonia il suo ricorso alla purezza assoluta della Scrittura): “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato” (1 Cor. 1, 27-28).
Tocca all’artista, al vero artista, dare dignità e bellezza a ciò che Dio ha scelto e sceglie continuamente, anche se il mondo non conosce, anche se il mondo calpesta, anche se il mondo butta lontano da sé. L’artista ce lo riporta vicino.
(tratto dal Catalogo “Vìola”, Galleria d’Arte Astuni)