Lettera ad un altro artista

Solo nei momenti bui, d’incertezza, di impotente sopravvivenza, fare arte rappresenta il solo modo di vivere e comunicare. Negli anni ottanta c’eravamo scordati dell’arte, che si scontrava con il nulla o con la morte o con la povertà, eravamo affamati di successo. Oppure no! Eravamo giusti, la poesia dell’arte rendeva bene economicamente ed era giusto così, una ricompensa allo sforzo creativo.
No, eravamo solo a un banchetto più lussuoso e l’osso era ricoperto con più carne. Grazie fortuna, ora mi sorprendo sempre più a vivere di ricordi e delle grandi cose di un tempo: viaggi, mostre, cene, direttori di musei e copertine e soldi da poter spendere senza pensarci due volte.
Eppure sembra giusto che gli artisti per il fatto che esprimessero ognuno nel modo proprio il loro migliore “colore”, appartenessero ad una classe privilegiata e protetta. Ma di quale arte sto parlando, sì, solo di quella mia, sì, di quella dalla parte dell’individuo contro il “sistema governativo”, quella contro il “sistema Cosmico” o il “sistema familiare” o il “sistema dell’arte” o del mercato. Volevo che la fortuna continuasse ad aiutarmi a rimanere saprofita, cinico, comodo, in un mondo di sistemi marci sì da poter in una posizione traditora colpire al meglio il peggio. Ma il marcio mi ha affogato, ed ora penso che l’arte non mi salvi, che mi dia poco e dia poco a quegli altri per cui volevo parteggiare.
Quali messaggi ho creato o dovrò creare per poter davvero comunicare e vivere con l’arte? E così alla soglia dei miei ultimi 42 anni mi sento frutto del mio tempo consumistico; ragazzo viziato e deluso. Ma credo che non sia solo per la delusione che ti stia scrivendo, caro Bruno Ceccobelli, forse è perché soprattutto mi sentivo “portatore” e che ora senza i fasti passati non sappia più cosa ho portato, e cosa potrò portare da oggi in avanti. Già mi sento troppo vecchio per farcela in tempo, non dormo più bene, ho vissuto un sogno felice grazie all’excapitalismo: ma la via è più stretta e il cammino più impervio, riuscirò mai a pacificarmi, riuscirò a comunicare con la gente e ad avere rispetto e devozione per Bruno Ceccobelli? L’arte insomma serve come consolazione o adulazione? O è capace di creare vita autonoma? Devo cadere ancora più in basso? Ancora più angosciato per accorgermi a quale livello l’arte può smuovere le energie? A quale destino ci prepara! Di quale arte sto parlando? Ma di quella vera, che non si compra né si vende. Quella che si prova sulla propria pelle arte della misericordia, della pazienza, dell’umiltà, dell’onestà del tempo del lavoro svolto.
Arte della comunicazione, comunione terrestre-celeste. Il resto è solo mercimonio convenzionale senza valore e senza ricambio. Ho la presunzione di vendere buone azioni? O non so vedere più in là del mio naso?
E comunque la vita quasi sempre è più lunga di quanto uno possa credere, e la corsa iniziale per arrivare subito in vetta è la cosa più superficiale!
Stagionare e soffrire per l’arte, impara l’arte e mettila da parte, ma quanta arte devi imparare? Tutta l’arte naturalmente.
Caro confratello, puoi rispondermi con una tua confessione spedendola ad un altro artista; se non ti piace il gioco puoi semplicemente spedire la mia ad un altro artista. Non spezzare la catena.